Capitolo 0. Fuga dalla Galilea

Quando Yeshua fu crocifisso avevo 26 anni. Ero incinta del nostro secondo figlio che, a distanza di cinque mesi, scoprì essere una bambina. La chiamammo Sarah, che significa principessa, poiché suo, un giorno, sarebbe stato il Regno.

Era stato faticoso stare accanto al mio amato sposo durante le sommosse e gli ultimi 3 anni di Ministero. Aveva un carattere irruento e irreprensibile e ci furono molte occasioni in cui il suo temperamento sollevò gli animi di coloro che ascoltavano e non capivano, perdendo loro stessi nelle nefandezze del mondo e nei culti che incitavano le persone alla perversione e alla sottomissione.

Noi parlavamo alle folle, spostandoci da una città all’altra della Galilea. Lo facevamo per aprire le loro menti e i loro cuori, che sembravano ormai smarriti e inariditi, ma soprattutto per trovare, tra i tanti, quelle piccole scintille d’Anima che si erano incarnate negli uomini e nelle donne che si mostravano ligi e pronti ad accogliere gli Insegnamenti, i Segreti e i 24 Misteri, scegliendo di percorrere il Cammino.

Il nostro Servizio era costante. Mostravamo loro il sentiero per tornare al Padre e alla Madre e, con le nostre abilità, ci prendevamo cura di coloro che venivano a domandare soccorso.

Eravamo guaritori, alchimisti, Maghi; conoscevamo la Vera Medicina ed impiegavamo le erbe pregiate e i sacri oli per le nostre cure medicamentose.

Nella Comunione con il nostro Divino e Reale Essere facemmo diversi miracoli e per ognuno di essi soffrimmo molto in corpo, poiché era la nostra energia che trasmutava il male in bene, la malattia in salute, l’oscurità in luminescenza. Quello era il modo in cui l’Essenza Assoluta si manifestava…e aveva scelto Noi per farlo.

Coloro che avevano orecchi per intendere ed occhi per vedere, seguivano i nostri passi con amore, fede e dedizione.

Ci consideravano Grandiosi Maestri, Illuminati dall’Intelligenza della Luce, santi e profeti della Parola, Verbo dell’Altissimo.

Ma questo fatto indispettiva di gran lunga i Capi delle Adunanze, sacerdoti dei Templi, che ci ripudiavano nonostante la nostra gene regale.

Soprattutto rinnegavano il fatto che volessimo insegnare la Via agli umili e ai semplici che loro, dall’alto dei loro pulpiti, giudicavano come sudditi e profani, come troppo negletti per capire la logica del Sacro e la Via iniziatica che porta a divenire immortali e figli di Dio.

Temevano inoltre il mio Potere che, come Somma Sacerdotessa e Iniziatrice al Tempio di Iside, non aveva misura.

In poco tempo ci facemmo un gran numero di nemici, molti dei quali, pur non volendolo, contribuirono inconsapevolmente al piano di Yeshua, che lo condusse a morire per nascere di nuovo, a sacrificare se stesso per salvare l’umanità intera.

Fu veramente dura verso la fine, ma entrambi sapevamo che la via per il Paradiso ha sempre inizio nel proprio Inferno.

Quei fatti, anche se dolorosi e strazianti, dovevano accadere.

La Crocifissione di Yeshua era il sacrificio necessario, voluto da Nostro Padre, affinché si compissero le Scritture e fosse data al mondo una nuova opportunità.

Ogni cosa era già stata scritta dai profeti del passato ed era destinata a compiersi ancora una volta, ma fino a quando non lo vidi, nato di nuovo, con i miei stessi occhi, in quei 3 giorni che passarono fino al Suo risveglio, il mio cuore si fece cupo.

Fu veramente dura soffocare il mio dolore e mantenere viva la certezza che presto sarebbe tornato da me, dai nostri figli, da tutti coloro che immensamente lo amavano e che Lui amava.

Subito dopo la sua morte io, Marta e Madre Maria, il cui viso si mostrava trafitto dallo strazio di una mamma che aveva, anche se momentaneamente, perso il proprio figlio, lo lavammo e lo ungemmo di olio d’oliva e Nardo. Poi avvolgemmo il suo corpo con tela di seta e lino e lo portammo nel Tabernacolo.

Non mi mossi da quel luogo per 3 giorni e per 3 notti, poi giunse la terza mattina, era il giorno della Pasqua ebraica. Fece alba.

Piangevo a dirotto, con il cuore strappato, lacerato in 52 pezzi, mentre accarezzavo quel sepolcro in cui il suo corpo era stato deposto da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, quando l’Angelo del Signore venne a parlarmi, sussurrandomi all’orecchio: Miriam di Magdala tu sei benedetta tra le Donne e benedetti siano i frutti dei tuoi seni e tutta la tua stirpe ora e sempre sia lodata. Sia tu una sola in Cristo, con il tuo amato sposo.

Subito dopo mi inginocchiai a pregare col capo chino e quando mi sollevai per volgere lo sguardo al cielo, ecco che lo vidi.

Era nato di nuovo ed era lì di fronte a me, in tutto il suo splendore, anche se ancora, come lui stesso disse, non lo potei toccare.

Nei giorni seguenti il suo Spirito e il suo nuovo corpo si assestarono. Ci mise sette giorni e sette notti per completare l’intero processo.

Giorni che dovette passare da solo, nascosto, lontano da noi.

Dopo averlo visto quella mattina di Pasqua, con il cuore che mi esplodeva dalla gioia e le gambe che ancora mi tremavano per l’emozione, tornai di corsa alla grotta di Walhall[1] che si trovava ai piedi del monte Carmelo. Era il rifugio dove ci nascondevamo con i 12 e gli altri fratelli e sorelle.

Dissi a tutti che il mio Rabbì era tornato. Raccontai di averlo appena incontrato sulla piana del sepolcro e riferii quanto mi aveva detto in segreto.

Il viso di Madre Maria, quando seppe la notizia, si illuminò di luce immensa e la sua bocca, prima serrata, diruppe in un sorriso. Scoppiò a piangere e poi tese le braccia in alto e lodò Dio.

Spiegai il piano di Yeshua a tutti coloro che si trovavano lì in quel momento, o almeno ciò che il mio sposo, nato ancora, mi aveva chiesto di riferire e diversi tra i 12 si mostrarono increduli e mi diedero della matta, soprattutto Pietro, che tra tutti era quello che, nel momento del martirio, lo aveva rinnegato.

Il suo intento sembrava molto diverso dal nostro e sebbene ci avesse seguito come discepolo per tanti anni e credesse fermamente nel ritorno del mio amato e nella venuta del Regno, si mostrò quasi risentito del fatto che il Rabbì si fosse mostrato, nel suo nuovo stato, a me per prima.

Con lo sguardo torvo e l’aria seccata, fece tante opposizioni al mio discorso, cosa che di certo non avrebbe fatto se Yeshua, per cui provava riverenza, fosse stato lì in quel momento. Credo che in fondo lui non tollerasse la mia importanza e ne fosse perfino geloso. Poi formulò a voce alta il suo pensiero, che così poco risuonava con i nostri insegnamenti.

Il piano di Yeshua prevedeva di agire nel silenzio, lui al contrario voleva rendere la cosa pubblica.

La sua idea era quella di usare, come prova per “i profani”, la resurrezione del mio amato e così facendo intendeva creare un’Istituzione che la folla potesse riconoscere nel tempo ed acclamare.

In buona sostanza voleva fondare un nuovo culto, basato sulla figura del Rabbì, che però conservasse il dogma, dimostrando in questo modo di aver frainteso ogni precetto che noi, come coppia sacra, avevamo trasferito.

La cosa che maggiormente mi preoccupò fu il fatto che l’intenzione di Pietro fosse quella di usare i principi antichi e la Parola di Yeshua (che poi era la nostra, ma Pietro questo non lo riconosceva) per ottenere consensi, benefici personali e proselitismi.

A noi questo non interessava minimamente.

La nostra necessità era infatti quella di consentire a tutti la possibilità di conoscere Dio e di farne pragmaticamente esperienza.

Noi mostravamo la Via, la stessa Via che ci imponeva di non cedere alle passioni egoiche che solo alimentavano l’apparenza a discapito della sostanza.

Nonostante il mio veto, la voce sulla Resurrezione del mio Amato si diffuse rapidamente e questo ci causò seri problemi. Sapevamo che dopo quei fatti, resi ormai di dominio pubblico, non era più possibile rimanere a Gerusalemme ed in realtà l’intera Giudea era diventata ormai troppo pericolosa per noi.

Le adunanze sacerdotali ci temevano ed avrebbero fatto di tutto per mettere le cose a tacere. La nostra famiglia era in pericolo, tutti noi lo eravamo.

Uccidere Yeshua non era bastato, anzi, la sua rinascita aveva reso il suo impatto pubblico decisamente più forte. Questo fece puntare la lente sul nostro operato che nei giorni seguenti, diventò sempre più problematico perseguire.

Non potevamo fare altro per quella terra che tanto amavamo entrambi e poi i tempi erano ormai maturi per diffondere la semenza anche fuori dalla Terra Santa.

Dopo 3 settimane fuggimmo, come prima di noi, al tempo della nascita del mio Amato, dovettero fare Madre Maria e Padre Giuseppe. L’aria, allo stesso modo di allora, si era fatta molto grave.

Yeshua si presentò alla grotta di Walhall l’ottavo giorno dalla Resurrezione, lasciando i 12 e gli altri fratelli e sorelle di stucco.

Non avrebbero più potuto dubitare delle mie parole. Ora tutti potevano vedere il mio sposo e conoscere, dalla sua bocca, il suo piano.

Era radioso. Il suo corpo, interamente riavuto, emanava luce, era diventato adamantino.

Madre Maria gli corse incontro, saltandogli al collo per la felicità. Il suo cuore di mamma era finalmente in pace.

Yeshua si occupò di dare le direttive per il viaggio e di istruire i discepoli sui compiti attribuiti ad ognuno. Io pensai a preparare i bagagli per me ed il piccolo Giacomo, che a quel tempo aveva solo 3 anni.

Noi saremmo partiti per primi, poi lui, ultimate le cose che doveva fare sulla via di Damasco, ci avrebbe raggiunti. 

Ero incinta al quarto mese e tutto il trambusto delle ultime settimane mi aveva scombussolata non poco. Temevo per il bambino che avevo in grembo e per la fatica e il disagio che avrebbe provato Giacomo nel vivere l’esperienza che avevamo scelto di compiere; ma avevo fede…fede in Yeshua, nella potenza del nostro Amore e nel suo piano.

Dei nostri fratelli, diversi, messi alle strette, ci avevano abbandonato, altri ci avevano tradito, ma altri ancora fecero ogni cosa che potevano per aiutarci e per portare a termine i loro compiti.

Tommaso, Paolo e Giuda si occuparono di organizzare la mia partenza. Recuperarono una barca, era un’imbarcazione modesta ma salda, e assoldarono un gruppo di marinai per condurla.

Da quando partimmo, come fedeli compagni, non mi lasciarono mai, restandomi accanto tutto il tempo, fino a quando mesi dopo, non mi ricongiunsi finalmente con il mio amato sposo.

Claudia Procula, che ancora si disperava per la sciocchezza che aveva commesso il marito Ponzio Pilato, lavandosi le mani del sangue del mio Amato, ci consegnò un sacco pieno di monete d’oro e gioielli. Si spogliò completamente di tutti i suoi averi, perché potessimo affrontare il viaggio e non ci mancasse mai nulla.

Marta, la mia amata sorella, partì con noi, così come fece Ester, mentre Luca e Giovanni si occuparono di Madre Maria e della nonna Anna. Anche loro sarebbero dovute sparire, ormai la Giudea era troppo pericolosa…anche per loro.

All’ora tarda, quando la città rimase deserta, io e il bambino ci imbarcammo.

Giuseppe di Arimatea aveva incaricato alcuni uomini a portarmi nuovi abiti, non regali, in modo che potessi camuffare la mia presenza, qualora ve ne fosse stata la necessità. Con erbe e crema d’acero mi tinsi perfino i capelli e ovviamente mi spogliai di tutti i miei monili, così da rendere la mia figura il più umile possibile davanti alle folle che avrei incontrato in quelle terre straniere.

Portai con me anche il baule con le vesti da Officiante e il baule delle spezie. Sapevo che avremmo presenziato a molti riti, pertanto era opportuno che io e le mie sorelle avessimo con noi tutto il necessario.

Lasciai Yeshua con molto dolore, ma sapevo che era la cosa giusta; mi avrebbe raggiunta non appena sarebbe stato pronto. Quello che doveva fare in Siria era fondamentale per la riuscita del piano e le mie angustie non dovevano in alcun modo ostacolarlo, pertanto, nel salutarlo mi mostrai serena.

Fu un viaggio estenuante.

Impiegammo diversi giorni di navigazione e di viaggio nell’entroterra prima di raggiungere Rodi, Simi, Atene, Delfi, Ioànnina e Corfù. Poi sbarcammo in Apulia e attraversammo tutto il Continente.

Del mio passaggio ovunque ho lasciato traccia, che rimarrà nei secoli dei secoli, passando da bocca a bocca e da orecchio ad altro orecchio.

Le mie impronte saranno ripercorse nel tempo, fino a quando, un giorno, non arriverai tu figlia mia, tu che sei la stessa me, nata di nuovo…e ancora una volta percorrerai la strada che io stessa ho fatto e mi ricorderai.

Io sono la prima e l’ultima, sono la prostituta e la santa[2].

Io sono te.

In ogni luogo in cui io fui anche tu sarai e segnerai con la croce quelle mura che un tempo, per dartene memoria, furono dipinte con le immagini che raccontano la mia storia, che è la nostra storia, una storia segreta che solo Una, al tempo perfetto, avrebbe mai raccontato.

Tu figlia mia, che un giorno, in un futuro lontano, solcherai le mie orme, rimarcandole con le tue, sappi che quando il piano sarà svelato al mondo, quando tu che sei me, ti rivelerai…quello sarà il tempo della fine, come io e Yeshua fummo inizio.

[1] Walhall: Nella mitologia nordica, paradiso dei guerrieri morti in combattimento, su cui regna il dio Wotan.

[2]Io sono la prima e l’ultima: versi tratti dall’Inno ad Iside.

dal libro SANG REAL. Le orme di Maddalena sulla via di Mikael

LA PAPESSA MW